VARANASI

Sono convinto ci siano solo due modi, forse tre, per descrivere in un diario Varanasi, India.

Primo: wikistyle: Varanasi (hindi वाराणसीVārāṇasī, nota anche come Benares, o BanarasBenarasKashi e Kasi) è una suddivisione dell’India, classificata come municipal corporation, di 3.682.194 abitanti. È una delle più antiche agglomerazioni urbane del mondo essendo abitata da circa 3500 anni[5].

Blah Blah Blah, c’è il link.

Secondo: viverci qualche mese, anno e poi scriverne. No way, già dato da un’altra parte.

Poi ci sono delle immagini, dei cortocircuiti mentali delle pochissime ore che mi hanno riempito gli occhi di spilli.

Non distinguo un facocero e un maiale mimetizzati in un muro di spazzatura, una discarica a cielo aperto.

C’è un piccolo negozio che vende Green Lassi. Mia madre sarebbe felice.

Apro UN SECONDO la borsa per prendere un flash, mi caga dentro un uccello già arrivato a Bombay.

Al buio mi piace il traffico, basta mettersi le cuffie e guardare fuori dal parabrezza, sembra un concerto di quel secco prostatico di Roger Waters, fari abbaglianti che disegnano fasci di luce nel muro di polvere sollevato dalle centinaia di automezzi in contromano, mano sul clacson.

Ci perdiamo.

Alex trova del legno di bambù per costruire la zattera. Anche dei fusti vuoti. Sarà da ridere.

Ci riperdiamo.

Sui ghat, le famose discese al fiume dove i fedeli pregano e si bagnano, ci sono dei muri di ciocchi di legno alti decine di metri. I fuochi non si spengono mai. Cremazione di cadavere a prezzi modici 24/7. Qualcuno fa il bagno.

Un paio di mucche fanno lo struscio mentre ai cani spiaggiati a terra non frega assolutamente nulla.

C’è il canale di Alex per parlare di cosa però stiamo facendo qui. E’ un’avventura al limite dell’assurdo, poetica, difficilissima. Siamo più al telefono con le Ambasciate che per strada a lavorare.  Ma domani salpiamo, è deciso.

Qui per me ci sarà  solo il ricordo di Jayant.

Lui mi rimette gli ultimi anni corsi ai duemila all’ora in tasca e ciao a tutti.

Odio gli invasati in generale, scusate è più forte di me. Gli spirituali ricconi in viaggio, poi, con lo zainone, i pantaloni scagazzoni larghi e le birkenstock li spianerei con una mietitrebbia birmana. In total look Viaggio in India. Poi di corsa a casa però, eh?

Che non si prenda quindi questo mio racconto come una roba simile, questa è una semplice storia.

La storia di Jayant.

Jayant ha una pelle bellissima, maculata come un leopardo.

E’ vestito di bianco e mi acceca quando mi giro e lo vedo fluttuare sulla discesa di sabbia fine che porta all’acqua. Siamo fuori città, in mezzo a campi di mais e riso, siamo tutti concentrati su questa zattera del Bellini.

Sembra un fantasma, si avvicina al bordo del fiume, ha in mano due anfore, una piccola e l’altra un po’ più ampia. Le depone a terra, entra in acqua e giungendo le mani al petto si ferma, immobile, guarda oltre qualcosa che io non vedo nemmeno.

Io cinico capitalista dal cuore di gianduja mi accovaccio in silenzio sulla sabbia, dietro di lui.

Jayant ha perso suo padre la settimana scorsa, l’ha fatto cremare ai Ghat per mandarlo in verticale in paradiso, nessun altro giro di giostra su questa terra infetta.

Lì, su quelle pietre ardenti che toccano Ganga, il fiume divino, al termine della cerimonia gli viene consegnata la cenere del corpo mista a fango del fiume e all’ombelico, che è una delle poche parti che non viene carbonizzata e ridotta in polvere. Provare per credere, mi dicono dalla regia.

Il rito al quale assisto qui, in aperta campagna, dove il Fiume scorre indifferente, prevede che dopo il bagno purificatore, il parente del defunto riconsegni al fiume i resti del corpo. Fango e ombelico.

Il cibo viene lasciato sulla riva, a pochi centimetri dall’acqua. I corvi, considerati gli animali che collegano la terra al paradiso, lo Swarg, porteranno nutrimento aldilà, a chi ne ha bisogno.

Poi Jayant si china, accende un incenso e lo lascia bruciare qualche secondo prima di infilarlo delicatamente della sabbia dura bagnata dal fiume.

Senza girarsi emette un suono debole ma nitido, una cantilena breve.

Dice, Dio, io ti prego diventa nettare e scendi in gocce dal cielo su tutto il mondo.

Prendo, metto in tasca e porto a casa, ma riso e incenso li lascio lì.

 

 

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